Recensione scritta per Thrillernord, Associazione culturale.

Tra i libri che ho letto ultimamente, questo è quello che ha meno elementi in comune. Dall’Italia dei giorni nostri, sono passata all’America del 1948, ad Atlanta. Senza Miss O’Hara, però. Niente crinoline, niente guerra di secessione, ma una forma di guerra più sottile, più brutale e soprattutto più persistente. Quella che nasce dalla discriminazione basata sul colore della pelle, e si estende come una malattia infettiva a tutto il resto. 

Mi sono domandata perché avessi scelto questo libro nell’ampia rosa di quelli messi a disposizione da Thrillernord. Ora che ho finito il libro, e lasciato decantare il suo messaggio, ho un’idea più chiara di quello che mi ha voluto dire. Mai arrendersi. Il valore non soccombe mai, nonostante tutte le apparenze.

Sinossi

Atlanta, 1948. Una giovane ragazza di colore viene uccisa e gettata in una discarica. Due agenti avviano un’indagine clandestina, in aperta sfida alla legge vigente dei bianchi. Diceva Faulkner che il Sud bisogna raccontarlo; che bisogna spiegare perché la gente vive lì, e anzi perché vive. Il Sud raccontato qui è quello della città di Atlanta del 1948, l’anno in cui, per la prima volta, a otto afroamericani fu concesso di arruolarsi nelle forze di polizia per pattugliare i quartieri abitati dalla propria gente. Da questo dato storico, Mullen prende spunto e inventa due personaggi profondamente umani, gli agenti Lucius Boggs e Tommy Smith, due poliziotti che, come gli altri sei del loro gruppo, non sono autorizzati a guidare un’auto di pattuglia né a mettere piede negli uffici della centrale né ad arrestare i bianchi. Quando, in un giorno di luglio, una giovane ragazza di colore viene uccisa e gettata in una discarica, Boggs e Smith, davanti all’indifferenza dei vertici della polizia, avviano un’indagine clandestina. Una decisione temeraria, in aperta sfida alla legge vigente dei bianchi. La rivoluzione si è appena messa in moto ma ha ingranaggi lenti; la macchina che abolirà la segregazione si inceppa ancora, funziona a scatti, però la caccia non ammette ripensamenti. La terra lungamente offesa e impastata di paura dove vivono i negri reclama giustizia e riscatto sociale. E allora l’indagine di Boggs e Smith sarà implacabile, il loro viaggio incendiario.

Il mio dialogo con il libro

Quando ho chiuso il libro, ho pensato che l’etichetta “Narrativa gialla” non era affatto adatta. Horror, ecco una parola che si addice meglio. Meglio, ma non completamente. Qualcosa rimane ancora fuori, perché qui non c’è solo una storia di crudeltà vera, reale, inflitta ad un’intera razza per anni, anni, anni, fino ai tecnologici anni ’10 del nuovo millennio. Magari non è così eclatante come negli anni raccontati nel libro (1948, ad Atlanta, una delle città americane rese famosissime nell’immaginario europeo, grazie anche alla bella Rossella O’Hara), ma solo perché i candidamente orrendi costumi del Ku Klux Klan continuano a dare nell’occhio, e non sono considerati con troppa simpatia nemmeno nelle feste mascherate. Nel libro passano rapidi, si fa in tempo a vederne svolazzare una falda.

Ma non è importante che si vedano, la presenza del Klan è forte e aleggia in ogni pagina del libro, per quanto la storia non li tiri in ballo più di tanto. E’ l’atmosfera di odio attaccata e incarnata da quei lenzuoli con i buchi ad aleggiare in ogni pagina. Un odio totalmente cieco, stupido e irritante.

Dopo poche pagine in cui leggevo del comportamento ottuso e discriminatorio dei poliziotti bianchi (non tutti, lo vedrete molto presto) verso i loro colleghi neri, ero tentata di chiudere e di lasciar perdere. Non sopportavo tanta immotivata sensazione di superiorità esibita con cattiveria, dovuta solo ad un colore diverso della pelle, una tale malvagità meschina, stupida e codarda… e poi mi sono ritrovata a pensare che le radici dell’odio sono proprio queste. E, se guardiamo un po’ da vicino, ne vediamo un’altra spuntare dietro tutte le altre.

Una certa sensazione di inferiorità. E nel libro viene rivelata come un dettaglio quasi casuale, come lasciato cadere in una conversazione davanti ad una tazza di tè. I poliziotti neri di Atlanta sono un primato storico reale: la città li ebbe sul serio, otto coraggiosi che rivestirono la divisa per la prima volta, in mezzo a difficoltà, impedimenti e ostacoli di ogni genere, ma comparvero sulla scena. Ed erano uomini in gran parte istruiti… e questo non si poteva dire di tanti poliziotti bianchi, che tanto superiori si sentivano.

Uno dei due protagonisti ispirati a questo gruppo di pionieri, Lucius Boggs, è il figlio di un predicatore nero, in possesso di un diploma, appartenente ad una famiglia nera benestante, con un suo seguito, e un suo peso, per quanto piccolo, rispetto alla preponderanza bianca. Ma è un peso piccolo da cui non si può più prescindere, visti i tempi, e i deputati bianchi lo sanno bene. Lucius Boggs è in possesso anche di un cervello di prima categoria, oltre a coraggio e resistenza da vendere. E una grande voglia di giustizia, di guardare oltre le stupide barriere dell’odio, e di non sentire troppo la catena dell’essere quasi solo e isolato davanti allo strapotere bianco. Ma non è isolato, anche se tutto congiura per farglielo credere. Tra i poliziotti bianchi, il giovane Dennis Rakestraw comincia a storcere il naso di fronte al razzismo stupido e cattivo di molti dei suoi colleghi, a partire dal suo odioso partner, Lionel Dunlow.

E gli piacerà sempre meno assistere al continuo ostracismo inflitto ai colleghi neri. Finché non diventerà, con l’uccisione della giovane cameriera di colore Lily Ellsworth, una questione di rispetto per se stesso e per la sua cosiddetta umanità. Cambierà in fretta, il giovane Rake.

I suoi occhi diventeranno più acuti, vedranno con innegabile chiarezza lo sporco e lo squallore sotto le divise indossate dai bianchi, individueranno alleanze impensabili, collusioni rivoltanti. Lui e Lucius Boggs, e Tommy Smith, il partner del secondo, si ritroveranno coinvolti in prima persona in un vortice vischioso e correranno rischi forti, fortissimi. Qualcuno di loro lascerà strascichi di ricordi sgradevoli negli anni futuri, forse.

Questo potrebbe dircelo l’autore, Thomas Mullen… se avesse mai intenzione di andare a dare un’occhiata alle vite dei tre colleghi, tra qualche anno. In questo libro ha saputo raccontare con un bell’equilibrio una storia melmosa, intervallata da piccole pozzanghere pulite, in cui le facciate bianche e rispettabili fanno fatica a contenere tonnellate di ogni genere di segreti, piccoli, grandi, meschini, ributtanti.

Mi è piaciuto il suo stile oggettivo quanto basta, condito da un velo di ironia, che spesso racconta sottraendo informazioni, piuttosto che dilungarsi nel riportare quello che è capitato dietro le quinte, o in un’altra città. Questo finisce per imprimere movimento ad una storia che tanti personaggi del libro stesso vorrebbero far impantanare subito in uno status quo ben definito, senza cambiamenti… ma l’autore non permette mai, nemmeno per un momento, che la vischiosità dell’estate afosa di Atlanta abbia la meglio su una narrazione piena e dinamica.

L’autore

Thomas Mullen:

è nato nel 1974 nel Rhode Island, Stati Uniti. Il suo primo romanzo è stato definito miglior debutto narrativo del 2006 da “USA Today”, miglior libro dell’anno dal “Chicago Tribune” e ha vinto il James Fenimore Cooper Prize. Anche La città è dei bianchi (Darktown, 2016), il suo quarto libro, ha raccolto grande successo di pubblico e critica.

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