Recensione scritta per Thrillernord, Associazione culturale.

Avete presente quando guardate un libro, e questo cattura il vostro sguardo e non vi molla più, e l’unica cosa da fare è prenderlo e leggerlo? Ecco. Qui è capitato proprio così. 🙂

Sinossi

“Dente d’oro” è la storia di un regista e sceneggiatore premio Oscar, senza più idee e ispirazione. Vive in un mondo superficiale fatto di “baci, abbracci e pugnalate” dove è possibile avere e comprare tutto, anche un Oscar, grazie alla fama e al successo cui è arrivato. Ma il suo passato, però, è stato brutale, meschino, sofferente e pronto a riemergere. Un produttore gli commissiona un nuovo film, ma il blocco dello scrittore o come lo chiama il suo agente “stitichezza creativa”, è come un macigno che lo trascina inesorabilmente, a poco a poco, nel baratro della sterilità e della depressione facendo ritornare in superficie quel passato che sembrava dimenticato. Una notte, passeggiando per una indefinita città di mare, decadente e misteriosa, tra vicoli malfamati, navi imponenti, prostitute del porto, un tipico ambiente Bukowskiano, tra un bicchiere di vodka e l’altro, il dente d’oro di Dashenka lo abbaglia e seduce ancor più dell’oro cui era stato abituato finora. “Niente capita per caso” le dice la inquietante e misteriosa russa. Nasce uno strano sodalizio che porterà alla nascita della storia commissionata dal produttore, tra rischi, tentazioni, vicende sconvolgenti.

Il mio dialogo con il libro

Il titolo, Dente d’oro, per me è stato magnetico. L’immagine che ha suscitato, prima ancora di vederne la copertina, è stata quella di una creatura (uomo, donna, non importa) unica, bella, pericolosa, irripetibile, quelle che riescono a cambiare le vite degli altri semplicemente entrando nei loro campi visivi, a prescindere da quello che fanno davvero. E sono, di solito, creature che non hanno bisogno di fare granché; niente azioni grandiose, niente paroloni roboanti, niente teatralità. Respirano, guardano il mondo da un altro spazio, dosano silenzi e parole, SONO. Entrano in una stanza e cambiano l’atmosfera, qualunque essa sia.

Dashenka, la donna che porta il reale dente d’oro nella sua bocca, è esattamente così. Da come l’ho descritta, pare un personaggio delle fiabe dark, la protagonista di un film gotico, magari una cattiva dall’aspetto sensazionale e il cuore nero. Costruita ad arte: ecco il giudizio che emerge più velocemente, guardando il suo abbigliamento sempre scuro, il suo comportamento misterioso e l’ambiguità della sua… professione. In realtà, come scoprirete leggendo, è più vera del suo affascinato contraltare, il regista senza più idee, Paul, che la segue passo passo, gli occhi fissi sul suo dente d’oro, la mente e il corpo catturati ed eccitati da quel luccichio, dalla sua lucentezza liscia sotto la lingua. Dashenka vive in un mondo di chiaroscuri, elusivo come lei, pronta a scomparire e a sfuggire in un attimo, mentre Paul è il belloccio abitante di un mondo dorato, ricco, ambito e desiderato, esclusivo, come quello dell’arte (cinematografica, in questo caso), all’apparenza elevato, colto, di spessore.

In realtà… non è così. Paul è il primo a strappare l’abitino luccicante del mondo in cui vive e a far emergere tutto lo squallore di chi lo abita, a partire da sua moglie, la vuota e bellissima Sofia, sempre alla ricerca di un’occasione, un film, un post, una storia su Instagram e sui social che attiri persone, like, commenti su di lei, che spinga il mondo intero ad adorarla e parlare di lei, anche se è… niente. Dovrebbe essere un’attrice, ma… beh, la chiamano così, ma le sue capacità e competenze rientrano in altre sfere d’azione. Quelle che il suo stesso marito fa comprendere tramite il termine di “puttanella”, che lui abbina quasi sempre al suo nome. Personalmente, odio furiosamente questo termine, che mi sembra molto più perfido e insultante di “puttana”. È come insinuare che non sia capace nemmeno di fare quello, nella sua totalità, come invece una puttana saprebbe fare. Nel libro, come ho detto, questo termine compare spessissimo, oltre a “baci, abbracci, pugnalate”; sono parole che Paul usa come definizioni per indicare l’essenza del mondo marcio ricoperto d’oro del cinema, in cui tutto è apparenza, non ha consistenza, e non lascia nemmeno un buon sapore in bocca.

Tutta la storia è un gioco sapiente tra contrasti e contraddizioni, di violenza sempre sul punto di esplodere, di tensione trattenuta, di ricerca di qualcosa di vero in cui affondare i… denti. Tutto questo nel riverbero della luce che batte su quel dente d’oro, un simbolo prezioso e potente di verità, che non permette a nessuno di dimenticarlo. Né a Paul, che lo brama, né al lettore, che vuole conoscere la sua storia, che lo cerca e lo sente quando la bellissima Dashenka scompare per uno dei suoi viaggi misteriosi. Alla fine, Dente d’oro accontenterà la fame di verità di Paul e del lettore… e non assomiglierà per nulla alle loro aspettative. Lei è sempre oltre.

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