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La scultrice – Pia Rosenberg – Un’artista gigantesca

La scultrice - Pia RosenbergAvevo sentito parlare di Camille Claudel per la prima volta al liceo. In modo affrettato, perché si riteneva più importante dare spazio alla figura maschile ingombrante subito accanto, Auguste Rodin. Poi, il buio. Se non fosse stato per un film su di lei con il bellissimo viso di Isabelle Adjani, forse l’avrei definitivamente archiviata in qualche scaffale buio della memoria. Thrillernord, felice e paziente costante della mia vita da qualche anno, ormai, annovera questo titolo nei suoi elenchi. Un segno. Lo prendo, curiosa, curiosissima. E mi accoglie una storia turbolenta, agitata e sfrontata. Come lei, Camille. E anche come lui, Auguste. Per lui avrei anche altri aggettivi, non troppo lusinghieri. Ma sarebbe scontato addossargli colpe, dipingerlo come il consueto maschio stampato dal patriarcato, tanto per riproporre un contrasto e una dinamica che mi hanno stufato da tutte le parti.

Mi sono concentrata su di lei. L’ho amata, ammirata e anche sgridata. Questa donna aveva un talento e una passione per l’arte profondissimi, un coraggio sconfinato che la spingeva più avanti delle sue paure, e la trasformava in una pioniera combattiva. Non una vincente, però. Almeno, non nella sua vita. Nell’arte, ha sfondato il cosiddetto soffitto di cristallo, come piace dire agli americani, ma ho l’impressione che sia rimasta sola, almeno nell’arte.

Sinossi

Parigi, maggio 1881. Camille Claudel percorre spedita boulevard du Montparnasse, diretta all’Académie Colarossi, una delle due scuole d’arte private della città che accettano anche allieve donne. Ha sedici anni e arriva dalla campagna, dove ha strenuamente lottato per ottenere dai genitori il permesso di recarsi nella capitale e realizzare il suo sogno: studiare scultura. Sin da quando, in una giornata di pioggia, l’argilla umida tra le sue mani di bambina ha assunto docile la forma di una colomba addormentata, Camille sa di avere il dono di modellare e di riuscire a scorgere le figure nei blocchi informi ancora prima di prenderli in mano. Ora, finalmente, sotto l’attenta guida di Alfred Boucher, che la ritiene la più dotata tra i suoi allievi, può lasciarsi alle spalle i pregiudizi di quanti ritengono che la scultura non si addica alla sensibile natura femminile, e dedicarsi alla sua passione. Passione che minaccia di trasformarsi in ossessione quando, a sostituire Boucher, arriva Auguste Rodin. Rodin, che Camille conosce di fama per essere il creatore di una gigantesca porta dell’inferno ispirata al regno di tenebra della Divina Commedia, ha quarant’anni, spalle e braccia così muscolose che le cuciture della giacca sembrano sul punto di esplodere e una barba rossiccia che gli arriva fino al petto. È considerato lo scultore migliore della sua epoca, e c’è chi sostiene che sia un genio, mentre altri lo considerano un impostore. A Camille, tuttavia, basta uno sguardo per capire che quell’uomo irradia un’energia incontenibile, un’aura tanto abbagliante da risultare irresistibile. Tra genio e follia, passione e tormento, la drammatica e tempestosa vita di una grande artista in un romanzo capace di penetrare nella zona d’ombra di un’epoca, la Belle Époque, passata alla Storia col suo volto frivolo e spensierato.

Cosa ne penso

 

È la storia di una gigantessa dell’arte ancora troppo poco conosciuta.
Se ci prendiamo il tempo di leggere questo libro, scritto da un’esperta di arte e letteratura, scopriamo una dimensione di talento e forza creativa travolgenti. Quando iniziamo, Camille è giovanissima, ha sedici anni, arriva dritta dalla campagna (la sua impronta lotaringia, come la chiama) e sta divorando le strade affollate di Parigi per entrare all’Accademia Colarossi, la prima scuola d’arte del paese ad accettare studentesse. Non vede l’ora di canalizzare il suo enorme talento ed esprimersi: per lei è una necessità pari al respiro, se non più importante. Tutto il resto passa in secondo piano, oppure passa direttamente alla schiera degli ostacoli da abbattere e delle persone da combattere, che disprezzano il suo totale disinteresse per le cose femminili da secoli: sposarsi, avere figli, essere belle, brave, educate, accettate in società. Date un’occhiata al viso in copertina: l’espressione rovente, ben alta, le labbra strette impazienti di dire: “Abbiamo finito qui? Devo modellare!” I capelli mezzi raccolti in una pettinatura molto improvvisata, la posa scarna, un colletto semplice. No, decisamente non una donna di mondo, ma una donna con una missione.
Una sorta di Giovanna d’Arco, ma priva del contorno religioso: Camille Claudel è profondamente laica e dei misticismi da cattolicesimo medievale non sa che farsene. A meno che non le servano da ispirazione per una delle sue opere. Così come non sa che farsene degli innumerevoli condizionamenti sociali che invece intristiscono e appiattiscono la vita delle donne sue contemporanee, soprattutto sua madre e sua sorella. Fin dagli inizi, la signora Claudel madre avversa profondamente Camille a causa della sua unicità e del suo desiderio di fare qualcosa che nessuna donna di buon senso farebbe mai: essere una scultrice, sporcarsi con gesso e marmi, contaminarsi in un ambiente sessualmente promiscuo, in cui una ragazza come lei sarebbe la preda designata di artisti ansiosi di allungare le mani.
Camille non è un tenero agnellino, e lo vede bene chiunque. (Vogliamo dare un’altra occhiata alla foto di copertina? Vi sembrano miti, quegli occhi?) Tutti, tranne sua madre e sua sorella, che non la ritengono adatta. Della famiglia, solo il padre riconosce la preziosità del suo enorme talento e la sostiene: è grazie a lui che Camille va all’Accademia e può spiccare il volo.
Presto, le sue innegabili qualità, unite al suo carattere indomito (provate ad allungare le mani…), le attirano l’attenzione della società, dei critici, e di altri artisti. Uno fra tutti, la celebrità e il genio del momento, Auguste Rodin. Un altro gigante, e un altro anticonformista, sfrontato, anticonvenzionale. Tormentato, un genio alla costante ricerca dell’espressione e del movimento, nonché di corpi femminili. E Camille possiede tutto quello che sogna, forse anche di più. E la giovane scultrice vede nell’artista più grande di lei di 24 anni qualcuno che la capisce, che può guidarla, insegnarle, accoglierla. E non si sbaglierà più di tanto.
Tuttavia, com’è prevedibile, è difficile che due giganti come questi possano interagire senza provocare sconquassi. La descrizione migliore del loro rapporto arriva da un’amica di Camille, che li definisce due rinoceronti. Quando sono insieme, non possono far altro che caricarsi l’uno contro l’altro, scontrando i corni, cercando di travolgere l’altro con la propria incontrollabile energia.
E uno scontro, che finale può avere? Lo vedrete nel libro, o lo intuirete, perché le vicende di Camille e Auguste non finiscono in queste pagine. Arriveranno ad un punto cruciale e poi saremo costretti a lasciare che proseguano con le loro vite, mentre noi andiamo a scartabellare saggi ed enciclopedie che ci raccontino gli anni successivi. Per tutte le 346 pagine, tuttavia, vivremo intensamente con loro, con le loro famiglie e i loro amici, tra Parigi e Villeneuve-sur-Fère (uno dei posti d’infanzia dei Claudel), con una puntata in Inghilterra e gioiremo per i trionfi artistici della giovane scultrice e sbufferemo di rabbia di fronte agli ottusi pregiudizi patriarcali e maschilisti avallati persino da certe donne.
Per chi ama le storie, e le vite di personaggi rivoluzionari ma ancora poco conosciuti come Camille Claudel, è una narrazione adatta. Il tono sciolto e informato della scrittura (veicolato da una bella traduzione attenta e adatta ai tempi storici) trasformano questo libro in un riposante intrattenimento culturale senza avere alcuna pretesa d’intellettualismo.

 

L’autrice
Pia Rosenberg è nata vicino a Osnabrück e ha studiato storia dell’arte e letteratura a Stoccarda. Vive con la sua famiglia nella medievale Esslingen da oltre vent’anni e lavora come autrice, giornalista e guida della città.

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