Recensioni

Il custode, Ernesto Chiabotto – Un piacevolissimo ritorno!

Di questo autore, Ernesto Chiabotto, conosciamo già Il viaggio delle verità svelate, sempre edito da Neos Edizioni. Lo abbiamo seguito in Iran, alla ricerca delle radici di una verità dolorosa, che ha tenuto in scacco, pur non apparendo, la vita di tre famiglie. Il custode non si allontana moltissimo dall’Iran, in senso spaziale: un paio di passi e siamo in Egitto. Per essere più precisi, si parla dell’Antico Egitto, da dove arriva un personaggio inquietante per la bizzarria con cui arriva in scena, soprattutto a sconvolgere la vita del povero professor Attilio Hupper… docente e ricercatore presso il prestigioso Museo Egizio di Torino. Un’interessante coincidenza?

Leggerete.

La sinossi

Il professor Hupper, egittologo del Museo Egizio di Torino, viene contattato da un vecchio signore che gli offre la possibilità di una sensazionale scoperta archeologica… In queste pagine dal ritmo avvincente, fra Torino e l’antico Egitto, la storia si dipana sostenuta da ironia, fantasia e delicata attenzione alle emozioni in gioco.

Il mio dialogo con il libro

Coloro che abitano a Torino si sentiranno subito a casa. E fa un po’ effetto sentir parlare di casa propria in un libro, a prescindere da tutti i libri che si sono letti della stessa ambientazione… io ho sempre l’impressione che si porti all’attenzione di tutti un posto che pensavo di conoscere solo io, o di sentirlo descrivere esattamente come l’ho percepito.

Beh, in questo caso, è difficile che solo io conosca il Museo Egizio di Torino… essendo il secondo al mondo per importanza, prestigio e bellezza delle collezioni. E adesso, con il nuovo allestimento recente, il tutto è ancora più bello, splendente e organizzato. Un fiore all’occhiello del numeroso bouquet di una città ancora un po’ troppo modesta per farsi conoscere per la potenza che è davvero.

Sembra che stia divagando, ma in realtà sto ragionando su un elemento che Torino ha in comune con l’egittologo Attilio Hupper, il protagonista del libro, attraverso il quale vediamo svolgersi i fatti. Il professore ha un lavoro prestigioso, che ama, in un luogo altrettanto importante, e la sua materia è antica, affascinante, e ancora molto misteriosa, nonostante i lunghissimi anni di studi e di attenzioni da parte del mondo accademico in generale. Abita in centro, in una zona elegante: l’appartamento in cui vive, che porta il nome di Villa Emilia, è per lui qualcosa di più di un semplice posto in cui dormire e consumare i suoi pasti. C’è una storia dietro quel nome apparentemente pretenzioso e pomposo di Villa Emilia, fatta di un rapporto di affetto, fiducia e rispetto, legata al nome della precedente proprietaria e dei giorni squattrinati di studente arrivato dalla provincia dell’attuale esimio professore.

Per quanto ormai diventato un bel nome importante nel mondo accademico torinese e nazionale, Attilio non è uomo da sbandierare, ostentare sé stesso. È un uomo con i piedi per terra, abituato a verificare i fatti e attenersi a quelli, soprattutto quando si tratta del suo lavoro. È così facile, nel suo campo, prendere granchi colossali o essere tacciati di millanteria, o eccessiva fantasia. Per questo, tende ad avanzare con i piedi di piombo, ben attento a dove li mette. Un po’ come fa il resto della città… siamo bravi, ma non esageriamo, su!

Questi piedi di piombo diventano poi di uranio in qualche altro campo della sua vita, come quello sentimentale. Attilio ha una fidanzata bella e in gamba, Serenella, ed è forse il suo primo legame cosiddetto serio. E forse proprio perché c’è molta intensità e molta forza nel suo amore per questa donna, il professore non si decide a sbilanciarsi, magari ricorrendo ad anelli, rintocchi di campane e ricevimenti con amici e parenti. Qualche volta ho avuto l’impressione che nemmeno lui sapesse davvero quanto era innamorato e coinvolto. A prima vista, non si può chiedere più di tanto ad un uomo come lui.

Però, è proprio quello che fa l’eccentrico Joseph Kaibith, che lo aspetta in un tranquillo mattino di ottobre nel suo ufficio al Museo. Superata la sorpresa iniziale di trovare un ospite dove non avrebbe dovuto esserci nessuno, e con una certa dose importante di diffidenza, Attilio si dispone ad ascoltare il visitatore. Non senza averlo squadrato per bene, prima: un signore di una certa età, pur essendo indefinibile allo stesso tempo, abbigliato con molta cura, anche se piuttosto fuori moda, e un atteggiamento educato, formale e sorridente, di altri tempi. (Attilio non immaginerà nemmeno quanto. Noi lettori, forse, ne abbiamo qualche sentore, ma si sa, noi siamo sempre più svegli e aperti dei protagonisti dei romanzi. :-D)

Joseph Kaibith lo lascia presto a bocca aperta. Dimostra di essere a conoscenza di tutta la sua carriera accademica e soprattutto del suo attuale impegno in certi scavi in Egitto che, se portati a termine, potrebbero significare un bellissimo avanzamento, non solo nelle conoscenze di quell’antico mondo, ma anche nel proprio status, e nella quantità di finanziamenti che i progetti dell’ambizioso professore potrebbero ricevere.

Non è finita qui. È appena iniziata, al contrario.

Il visitatore porge ad Attilio un anello d’oro. Prezioso, antichissimo. Con il suo occhio esperto, il professore coglie subito un particolare che, se fosse davvero quello che gli è esploso in mente, potrebbe significare riscrivere e riscoprire un intero pezzo di storia antica, quella che sconfina nella leggenda. Con tutte le conseguenze mastodontiche e maestose del caso.

Certo, se fosse vero. Se il possessore di quell’anello, che porta il nome di un animale pericolosissimo, fosse vissuto sul serio.

Senza batter ciglio, Joseph Kaibith spiega all’allibito professore che quel reperto e tutto quello che vi è legato, in Egitto, esiste ed è alla sua portata. È venuto apposta a Torino, tentando diverse volte di contattarlo, proprio per proporglielo. È tutto suo, deve solo allungare una mano e dire di sì. Ah, c’è una condizione. Semplice, in fondo. Attilio dovrebbe… oh, lo leggerete, è scritto nel libro.

Che ne dite, Attilio accetterà? Scoprirete anche questo. Non è proprio un affare facile facile, anche se Joseph Kaibith è così bravo e convincente a proporlo in quel modo.

Naturalmente, all’inizio il professore protesta e pure con parecchia indignazione, perché pensa di essere vittima di un pretenzioso imbroglione, nonché di un potenziale sabotatore, venuto apposta per distrarlo dai suoi compiti. Troppo bello per essere vero, quello che gli prospetta il bizzarro Joseph!

… però, ora il seme della curiosità, sotto tutti gli strati di arrabbiatura, indignazione misti a paura, è gettato. Attilio comincerà a verificare. Le risposte lo lasceranno senza fiato, e con parecchie domande in più, nonché una buona dose di angoscia. Rimarrebbe in quell’impasse per sempre se non fosse anche per Cecilia, la sua amica-sorella storica, che sa come spronarlo e anche dargli sonori ceffoni, almeno metaforici, per farlo muovere dagli arroccamenti che spesso e volentieri Attilio assume, nel tentativo di difendersi da… dalla vita stessa.

L’esimio professore non lo sa ancora, ma ha già iniziato impercettibilmente a cambiare, da quel momento in cui le sue dita hanno toccato il famoso anello. E Joseph Kaibith inizia ad entrare e uscire dalla sua vita a proprio totale agio e piacimento. E ogni volta, Attilio si troverà qualcosa in più, avrà anche motivi per angosciarsi in più, ma… sta percorrendo una strada bellissima. Non lo sa ancora, non ne è ancora consapevole, ma sta imparando, sta crescendo, si sta muovendo in altri spazi, in altri luoghi di sé stesso. Niente sarà come prima, ma quanto è stimolante, grandioso e vivo il presente che il professore sta scoprendo? E in cui si sta immergendo con crescente serenità e, diciamolo, consapevolezza?

Leggere questo romanzo equivale a fare un giro completo nel parco divertimenti più grande e completo del mondo. Ci sono le giostre dell’azzardo, quelle che ti portano in altezza o ti sbatacchiano (pur in sicurezza) in aria, facendoti fare capriole inaspettato. Cammini sospettoso e diffidente nel castello degli orrori, e ogni volta salti per aria quando figure mostruose ti si parano davanti o partono ululati terrificanti intorno a te. Però, puoi anche vincere premi interessanti, se ti metti alla prova e ti fidi di te stesso e delle tue capacità. E puoi provare cosa significa sentirsi sostenuto dalla persona amata, quando sei seduto vicino a lei nel tunnel dell’amore. E pazienza, se ti sei sporcato con lo zucchero filato, o nell’ultima giostra qualcuno ti ha spinto a terra, o ti ha sottratto il posto… puoi sempre scegliere qualcos’altro, che potrebbe rivelarsi anche più adatto a te.

Non funziona così la nostra vita, ogni tanto? Ci spaventa, ci mette alla prova, ci fa faticare, ci fa sentire amati o a malapena sopportati, e poi è capace di farci scoprire tesori inaspettati in noi stessi, o nelle persone intorno a noi. E scopriamo che tutto il viaggio ci ha trasformato in un essere umano che ci è più simpatico, e che magari apprezziamo anche di più… siamo diventati consapevoli.

L’autore

Ernesto Chiabotto

Ernesto Chiabotto è nato nel 1958 e vive a Torino, città di cui è perdutamente innamorato e che fa da sfondo alle storie che inventa. Studi scientifici e laurea in farmacia, ha svolto vari lavori, non limitandosi a farmaci e pozioni. Scrive da quando era al liceo. Ha pubblicato nel 2010 Collezione (quasi) privata, una raccolta di racconti, alcuni dei quali sono stati premiati in vari concorsi, quali Delitto di autore, Premio Città di Torino e Parole per scrivere. Nel 2014 ha pubblicato Il Custode (Neos Edizioni), romanzo con il quale ottiene il 2° premio per la prosa edita al premio Città di Torino 2015 e una Menzione d’onore della giuria 2015 al concorso Baia dell’arte di Portovenere. Ha partecipato con vari racconti alle antologie Natale a Torino nel 2016, 2017 e 2018 e prossimamente 2019 per la casa editrice Neos Edizioni. Il viaggio delle verità svelate (Neos Edizioni) è il suo secondo romanzo.

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